Il tema della leadership è uno dei più discussi nella storia dell’umanità, e seppur con una terminologia diversa, lo si può individuare in testi come l’Iliade, l’Odissea, la Bibbia e non solo. Seppur questi classici risultano tutt’ora una fonte d’ispirazione primaria per i futuri leader, essi hanno partecipato alla creazione di una visione di questo costrutto affascinante ma errata.
Questi testi, infatti, hanno contribuito alla nascita dei cosiddetti approcci individualistici, che si sono concentrati sullo studio dei tratti di personalità e delle caratteristiche del leader.
Fortunatamente, l’idea che la leadership sia solamente una questione di “io” ha perso terreno a livello scientifico dagli anni ’60 in poi, sin dal momento in cui si è riconosciuta l’importanza dei contesti in cui i leader operano.
Questa consapevolezza ha dato il via ai cosiddetti approcci situazionali, di cui quello della contingenza di Fiedler è sicuramente il più rinomato. Secondo questa prospettiva, una leadership efficace si può attuare solamente a determinate condizioni, ed in particolare quando c’è congruenza tra le caratteristiche contestuali e gli attributi del leader. Nonostante qualche critica di carattere metodologico, questi orientamenti hanno aggiunto un elemento importante allo studio della leadership, creando le basi per la nascita di tre nuovi modelli:
- L’approccio dell’intelligenza emotiva di Daniel Goleman;
- L’approccio trasformazionale di James MacGregor Burns;
- L’approccio dell’identità sociale di Haslam, Reicher e Platow.
Il primo, introdotto da Daniel Goleman, vede la leadership come un processo di influenzamento che si basa su meccanismi emotivi, dove il leader, grazie alle sue competenze di ordine personale e relazionale, riesce a ispirare e guidare il suo team.
Il secondo, invece, attingendo dalla teoria motivazionale di Maslow, postula che il leader deve supportare i suoi seguaci a soddisfare i loro bisogni superiori (appartenenza, stima e autorealizzazione), favorendo quindi il loro sviluppo individuale e comunitario.
Infine, l’approccio di Haslam e colleghi, fondato sugli studi di Tajfel e Turner, sostiene che la leadership emerge da una serie di processi cognitivi, che portano il leader a rafforzare l’identità sociale condivisa del gruppo e a comportarsi come un vero e proprio imprenditore e realizzatore dell’identità.
Come si può intuire, i vari approcci illustrano come la nostra comprensione della leadership si sia trasformata nel corso dei decenni, passando da una visione centrata sull’individuo a una più complessa e contestualizzata, che non può prescindere dal considerare i followers. Con questa prospettiva storica in mente, possiamo ora tracciare con precisione i confini di questo costrutto, per poi esplorarne il suo vero significato.
Definirne i confini: cosa la leadership non è
- Non è un atto di comando: la leadership non consiste nell’ottenere semplicemente che le persone facciano una cosa piuttosto che un’altra, ma bensì nell’ottenere che esse vogliano volontariamente fare questo o quello.
- Non è un attributo del leader in sé: la leadership non è competenza specifica o una caratteristica che solo alcuni leader possiedono, ma piuttosto un processo che si sviluppa attraverso le interazioni tra leader e follower.
- Non corrisponde ad una posizione gerarchica: essere in una posizione di autorità non rende automaticamente una persona un leader; la leadership, infatti, va oltre e richiede il riconoscimento attivo dei propri seguaci.
Il suo vero significato: cosa la leadership è
- È un processo interattivo di influenza sociale: la leadership non è un’entità statica, ma un processo dinamico di influenzamento reciproco. Questo processo coinvolge il leader, riconosciuto come tale dai follower, e i follower stessi, che collaborano insieme per raggiungere un obiettivo comune.
- È il risultato dell’interazione tra più fattori: la leadership è un processo che emerge dall’interazione tra diversi fattori, come l’ambiente di lavoro, la struttura del compito, i bisogni, le aspettative e le caratteristiche dei follower, oltre alle abilità e alle qualità del leader stesso.
- Si fonda sul concetto di “ruolo”: se la leadership non si limita al ricoprire una specifica posizione gerarchica, essa è profondamente legata al concetto di “ruolo”, ossia quell’insieme di comportamenti e aspettative che vengono attribuiti ad un individuo in un contesto organizzativo. Il leader, infatti, emerge come tale proprio in virtù delle aspettative e delle percezioni che i follower hanno nei suoi confronti, riconoscendolo come guida.
- Si basa su processi cognitivi, emotivi e motivazionali: come suggerito dalle teorie di Goleman, Burns e Haslam, la leadership è un fenomeno che coinvolge un’ampia varietà di dimensioni. In particolare, essa si basa su processi cognitivi, come la categorizzazione del sé, che rafforza il senso di appartenenza dei follower al gruppo; su processi emotivi, come l’empatia, che creano una forte connessione tra il leader e i follower; su processi motivazionali, legati al bisogno di appartenenza, stima e autorealizzazione.
In definitiva, alla luce di quanto detto, emerge con chiarezza che la leadership è un fenomeno di straordinaria complessità, che non può essere limitato allo studio di un singolo fattore.
Questa consapevolezza permette di allontanarci da una visione estremamente riduttiva, spesso affascinata solamente dal carisma o dalle competenze del leader, elementi che, se isolati, non offrono una comprensione completa del fenomeno.
Solo in questo modo, la ricerca potrà indirizzare i suoi interessi verso un’analisi più scientificamente fondata, fornendoci le basi necessarie per diventare leader capaci di affrontare le sfide del mondo contemporaneo.