Gli studi sulla leadership sono un settore di ricerca delle scienze umane e sociali di moderna costituzione. Tuttavia, le riflessioni su tale argomento hanno radici alquanto profonde, ed hanno coinvolto i pensatori più celebri e brillanti della storia dell’umanità, da Lao Tzu e Confucio in Oriente a Plutarco e Max Weber in Occidente.

Tra le fonti spesso sottovalutate, ma estremamente ricche e affascinanti, troviamo inoltre le vite e le opere dei padri della cultura occidentale, ossia i filosofi che per primi hanno studiato razionalmente l’uomo e la sua natura.

Fino alla seconda metà del XX secolo, però, lo studio dei classici si è concentrato sull’analisi delle fondamenta epistemologiche e teoretiche alla base delle differenti dottrine, trascurandone invece il valore pratico, educativo e trasformativo.

Tuttavia, grazie ai lavori di Michel Foucault e Pierre Hadot, abbiamo visto un cambiamento significativo di questa visione. Quest’ultimo, in particolare, seguendo il suggerimento datogli da Proust, ossia che “la vera scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi”, ci ha fatto notare una prospettiva alquanto affascinante:

Socrate, Platone e Aristotele, così come altri filosofi, prima che essere impegnati in riflessioni, dialoghi e dissertazioni di carattere teoretico, erano soprattutto uomini d’azione, guide e mentori delle loro comunità.

I loro insegnamenti non erano limitati alla sfera dell’astrazione filosofica, ma si manifestavano concretamente nel loro modo di vivere. Erano leader nel senso più nobile e profondo del termine, vivendo in comunità con i loro seguaci e incarnando valori di virtù, saggezza e responsabilità.

A tal proposito, è interessante notare come le teorie moderne sulla leadership (vedi i lavori di Daniel Goleman e di Hersey e Blanchard) descrivano il leader ideale come una persona dotata di un forte senso etico, valori solidi e la capacità di fungere da coach e formatore. Interessantemente, queste caratteristiche non sono nuove, ma erano già peculiarità distintive dei filosofi dell’antichità:

  1. Socrate, attraverso la sua arte maieutica – una tecnica di ricerca-intervento fondata su una successione di domande – può essere considerato il precursore del coaching moderno.
  2. Platone, successivamente, attraverso la sua Accademia, si dedicò invece alla formazione integrale dei suoi discepoli, promuovendone l’empowerment e guidandoli verso una maggiore consapevolezza e auto-comprensione.
  3. Aristotele, infine, con la sua “Etica Nicomachea”, ha analizzato le virtù e la buona governance, offrendoci una visione della leadership fondata su valori etici e responsabilità.

Un altro aspetto fondamentale della leadership dei filosofi antichi era la loro capacità di influenzare e modellare la cultura delle loro comunità, attraverso quelli che Pierre Hadot definisce “esercizi spirituali”. Questi esercizi, sia individuali che comunitari, non solo favorivano la formazione etica ed intellettuale degli stessi filosofi e dei loro discepoli, ma contribuivano anche a costruire una cultura comunitaria basata su comportamenti etici, dialogo e insegnamento reciproco (1).

Questa visione, curiosamente, trova un riscontro diretto nel concetto di “leadership trasformazionale”, introdotto da James MacGregor Burns nel 1978. Secondo l’autore, la vera leadership si realizza quando il leader, impegnandosi personalmente nei processi di autorealizzazione, evolve e progredisce insieme ai suoi seguaci, rispondendo ai loro bisogni e supportandoli nel loro cammino di sviluppo personale.

Analogamente, i filosofi antichi non si limitavano a trasmettere teorie e virtù, ma le incarnavano, creando una cultura comunitaria basata sulla coerenza e sull’esempio. Ogni dialogo e dissertazione, infatti, assumeva innanzitutto un valore pratico e trasformativo, servendo da fondamento per la formazione di un autentico “modo di divere” condiviso.

Ed è proprio da quest’ultima considerazione che emerge un insegnamento tanto inequivocabile quanto ineludibile: la leadership non è solo una questione di parole, ma di azioni che parlano più forte delle parole stesse. La sua vera essenza, infatti, risiede innanzitutto nella coerenza tra ciò che si predica e ciò che si pratica, ossia tra gli insegnamenti impartiti e i comportamenti quotidiani esibiti.

A tal proposito, la saggezza di Seneca risuona potente e chiara:

“La parola viva e la vita in comune ti gioveranno più del discorso scritto. Dovrai praticare una realtà che ti sia consueta, prima di tutto perché gli uomini credono più ai loro occhi che alle loro orecchie, e inoltre perché lunga è la via dei precetti, corta e infallibile quella degli esempi.”

(1) Gli “esercizi spirituali” sono pratiche che mirano a trasformare e migliorare la propria vita interiore attraverso un impegno quotidiano e riflessivo. Questi esercizi possono assumere forme diverse, come la meditazione, la riflessione o l’autoanalisi, e hanno vari scopi, tra cui quello di conoscersi, di vivere in modo etico e di gestire le proprie emozioni.